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Scritto successivamente alla formulazione dell'ipotesi Kurgan, "Balti" è la prima monografia che Marija Gimbutas dedica a una cultura preistorica e ai suoi contatti, intrecci e conflitti con gli invasori venuti dalle steppe uraliche. Il fatto che l'autrice di tale monografìa provenisse proprio dal ceppo di quella cultura preistorica, e avesse visto con i propri occhi gli esiti distruttivi delle invasioni, non può essere considerato una semplice coincidenza. "I Balti" segna una svolta decisiva nell'epistemologia di Marija Gimbutas, nel suo modo di guardare i segni del passato: fino ad allora si era concentrata sulle origini degli indoeuropei e sul dibattito secolare che tali origini hanno suscitato; improvvisamente si assiste a uno scarto decisivo sul piano epistemologico e culturale, per non dire teoretico. Non si osservano più i tracciati degli invasori, ma - a partire da quei tracciati - si risale, come dal calco di un'impronta, alla forma che avevano i popoli invasi. Se sul piano strettamente scientifico e accademico la mossa di Marija Gimbutas è stata appena avvertita, è sul piano della storia della cultura che questa svolta ha avuto gli esiti più dirompenti, perché ha dato l'opportunità di intonarsi a un intero universo di narrazioni, interpretazioni, correnti, ideologie, movimenti, opere d'arte e di teatro, tutte volte a dar voce ai dannati della terra, agli esclusi, agli emarginati, a chi per secoli e millenni era stato sempre sepolto dalla storia ufficiale e che ora, finalmente, poteva essere riesumato. Togliere la patina di polvere dalle tracce dell'Europa antica significava per Marija Gimbutas disinnescare un'idea di storia come documento del vincitore.